[vc_row][vc_column][ultimate_heading main_heading=”Palazzo Carafa” alignment=”left” main_heading_margin=”margin-bottom:10px;” sub_heading_margin=”margin-bottom:30px;”]via S. Biagio dei Librai, 121 – Napoli
Sedi istituzionali della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Campania.
[/ultimate_heading][vc_row_inner][vc_column_inner][vc_single_image image=”1512″ img_size=”full” alignment=”center” css=”.vc_custom_1524151541708{margin-bottom: 30px !important;}”][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]La Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Campania dal 1 giugno 2017 si è trasferita nell’appartamento al piano nobile dello storico Palazzo Diomede Carafa pur mantenendo alcuni uffici nella sede di Palazzo Marigliano. L’appartamento al piano nobile fu acquistato  dal demanio e nel 1991 concesso “in uso governativo” alla Soprintendenza Archivistica.

Palazzo Carafa  è uno degli edifici  napoletani più singolari in quanto la sua architettura documenta il passaggio dal gotico alla linea rinascimentale.

La sua costruzione risale al XIII secolo e si presume che fu terminata nel secolo successivo ad opera dello scultore ed architetto  Aniello Agnolo Fiore.

Chi diede un grande impulso alla ristrutturazione  dell’edificio fu il Conte Diomede Carafa di Maddaloni (ca 1406-1487), soldato valoroso, abile politico e insigne letterato che all’apice della potenza ebbe la necessità – come era consuetudine per la nobiltà napoletana –  di manifestare anche visivamente il rango raggiunto. Il Conte ampliò  ed abbellì il duecentesco fabbricato, raccolse numerose statue e reperti di epoca greco romana con le quali adornò il Palazzo a partire dal cortile e proseguendo lungo le scale e le sale degli appartamenti.  Oggi di questi ornamenti sono rimasti solo alcuni fregi lungo lo scalone, lo stemma nobiliare in alto nella parete di fondo, sotto il quale è il resto di un affresco all’interno di una nicchia.

Nel cortile fu collocata una testa di cavallo (esistono varie teorie sull’origine di questa scultura ma secondo la versione più accreditata questa sarebbe stata realizzata da Donatello) che  si può ancora ammirare anche se è una copia di quella originaria, donata dai Carafa di Columbrano  agli inizi del XIX secolo al  Museo Nazionale di Napoli.[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151471160{margin-top: 30px !important;margin-bottom: 30px !important;}”][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”1509″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”1510″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]Alla morte di Diomede Carafa il Palazzo passò al figlio Giovan Tommaso che seguì le orme paterne combattendo contro i turchi e i francesi di Carlo VIII e successivamente al figlio di quest’ultimo, Diomede.

Il Palazzo successivamente passò al figlio di Diomede e ancora dopo, poiché i conti di Maddaloni non ebbero eredi, divenne proprietà del ramo dei Carafa di Columbrano e precisamente di don Francesco, marito della duchessa Faustina Pignatelli di Tolve,  che lo ristrutturarono riportandolo ai vecchi splendori. In particolare la duchessa Faustina, poiché era stata allieva dell’insigne matematico Nicola Di Marmo,  fece rinascere il cenacolo letterario – scientifico come ai tempi del suo fondatore Diomede. Dopo la morte della duchessa avvenuta nel 1785 il Palazzo ebbe un periodo di decadenza. Nel 1815 venne acquistato dalla famiglia Santangelo. L’avvocato Francesco Santangelo, appassionato collezionista d’arte  lo adibì a museo e destinò a pinacoteca il salone dell’appartamento situato al piano nobile.

In seguito le collezioni d’arte furono trasferite in parte in un’altra località della Campania sempre di proprietà della famiglia Santangelo e in parte furono vendute.

Da quel momento in poi l’uso è stato prevalentemente di tipo abitativo.

[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151488160{margin-top: 30px !important;margin-bottom: 30px !important;}”][vc_column_inner][vc_single_image image=”1507″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][/vc_row_inner][ultimate_spacer height=”10″ height_on_tabs=”10″ height_on_tabs_portrait=”10″ height_on_mob_landscape=”10″ height_on_mob=”10″][vc_column_text]Bibliografia e sitografia:

– Vittorio Gleijeses, Chiese e Palazzi della Città di Napoli, Edizioni Del Giglio,Napoli 1981 pp.172-176
– Italo Ferraro, Napoli Atlante della Città Storica, quartieri Bassi e il “Risanamento”, vol 2°, Clean Edizioni, Napoli, 2003 pp.103-105
– http://www.associazionepalazzinapoletani.it/PALAZZINAPOLI/
restauroTestaCavallo,f/TestaCavallo.html
– https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Diomede_Carafa
[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151289038{margin-top: 30px !important;}”][vc_column_inner width=”1/2″][vc_column_text css=”.vc_custom_1578598863140{margin-bottom: 40px !important;}”]SCARICA IL PDF[/vc_column_text][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_separator color=”custom” accent_color=”#dddddd”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][ultimate_heading main_heading=”Palazzo Marigliano” alignment=”left” main_heading_margin=”margin-bottom:20px;” sub_heading_margin=”margin-bottom:30px;”][/ultimate_heading][vc_row_inner][vc_column_inner][vc_single_image image=”1520″ img_size=”full” css=”.vc_custom_1524151462482{margin-bottom: 30px !important;}”][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]E’ ampiamente documentato che, intorno ai primi decenni del Cinquecento, la città di Napoli, la capitale, esercita una forte attrazione sulla nobiltà delle province del Mezzogiorno, che comincia a trasferirsi provocando anche, con questo processo di inurbamento, una notevole lievitazione dei prezzi delle abitazioni.

Tra il 1512 e il 1513, tra i cantieri per palazzi e residenze signorili, si costruisce a cura dell’architetto cosentino Giovanni Donadio, detto il Mormando, completamente rifacendo e ampliando una costruzione già esistente, l’imponente palazzo di Bartolomeo di Capua, principe della Riccia, conte di Altavilla (passato poi ai Marigliano del Monte nella seconda metà dell’800).

Questo palazzo, tuttora privato, secondo Roberto Pane “vanta la pi elegante facciata rinascimentale di Napoli, anche se le sale interne non conservano quasi nulla della primitiva forma, perché rifatto in età barocca”.[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151509401{margin-top: 30px !important;margin-bottom: 30px !important;}”][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”1521″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]

1 – Part. Mappa del Baratta – sec. XVII

[/vc_column_text][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”1522″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]

2 – Prospetto di Palazzo Marigliano – sec. XV

[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]Il palazzo, oggi noto come Palazzo Marigliano, si affaccia sul decumano inferiore greco-romano, confermando ancora nel sec. XVI la predilezione della nobiltà napoletana ad insediarsi nel centro antico, come era già avvenuto nei sessant’anni di regno aragonese, contro la tendenza angioina che aveva attratto intorno alla corte in Castelnuovo un nuovo quartiere patrizio.

Con Pedro de Toledo verrà a cessare ancora questa predilezione per l’antico centro, con l’apertura della nuova strada, Toledo appunto, seguita successivamente dall’urbanizzazione di Pizzofalcone prima e della Chiaja poi. Per alcuni secoli si perse la memoria dell’autore di palazzo de Capua, il Mormando, mentre il palazzo veniva menzionato solo di sfuggita (per esempio dal Celano), e, fino alla metà dell’800, pur citandosi il palazzo e la famiglia del suo possessore, se ne faceva erroneamente attribuzione ad altro architetto.

La giusta attribuzione al Mormando fu merito di Bartolomeo Capasso che nel ‘900 poteva confermare l’esatta paternità, già attribuita al Mormando da qualche studioso per motivi stilistici, attraverso un documento d’archivio con cui gli eletti della città concedevano la licenza a Bartolomeo di Capua “… secondo lo disegno età consiglio de mastro Johann Mormando architetto”.[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151400745{margin-top: 30px !important;}”][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1523″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]

3 – Part. del frontale su Via San Biagio

[/vc_column_text][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1524″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]

 4 – Part. dell’ingresso nel cortile;

[/vc_column_text][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1525″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]

5 – Part. dell’affresco di De Mura nel Salone

[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]La facciata del palazzo originario, pur condizionata dalla stretta strada, era nella sua eleganza rinascimentale caratterizzata dalla sovrapposizione degli ordini architettonici su un alto basamento rettilineo in piperno, oggi compromesso dall’apertura di alcune botteghe e dalla manomissione del portale, che era costruito da un’arcata trionfale tra le due colonne ioniche, tipicamente ‘mormandeo’ come quelli di via Tribunali 231, via San Giovanni Maggiore Pignatelli 29, e nel cortile del palazzo del Panormita a via Nilo.

Per quanto riguarda gli interni, il cortile con la scala a doppia rampa che termina in una esedra neoclassica e il giardino pensile, gli interventi di restauro sono del 1759, nel venticinquesimo anno di regno di Carlo di Borbone, ad opera di un altro Bartolomeo di Capua, ventesimo conte di Altavilla, come si leggeva in una epigrafe eliminata nel passaggio ai Marigliano che acquistarono il palazzo nella metà del secolo scorso. Oltre al valore architettonico il palazzo desta un grande interesse anche dal punto delle vicende storiche.
Entrando nel maestoso portone, nell’atrio che immette al grande cortile, si leggono ai due lati su lapidi murarie ora molto scolorite, due iscrizioni sulle panchine di pietra (molto danneggiate e private degli appoggi laterali).

La prima a sinistra richiama il ricordo di Costanza di Chiaromonte, che sposò a Gaeta Ladislao di Durazzo, incoronato re durante le nozze stesse, che fu ripudiata dopo due anni perché la madre, vedova di Manfredi di Chiaromonte, a Palermo conduceva vita dissoluta. Poi Costanza era andata sposa sempre a Gaeta ad Andrea de Capua e aveva quindi vissuto nel palazzo nel sec. XV, quindi prima della sua riedificazione del 1513.[/vc_column_text][vc_row_inner css=”.vc_custom_1524151518266{margin-top: 30px !important;margin-bottom: 30px !important;}”][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1526″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1527″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/3″][vc_single_image image=”1528″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][vc_column_inner][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_column_text]Nella seconda lapide, a destra nell’atrio, si legge che nel 1701 vi congiurarono con Tiberio Carafa i nobili de Sangro, Capace, Gambacorta col principe della Riccia, che dettero vita alla Congiura antispagnola di Macchia (ma l’episodio della presenza dei congiurati nel palazzo sembra privo di storicità).Il Carafa, esiliato a Vienna dal governo vicereale, fu reintegrato nei feudi da Carlo d’Austria e mai accettò come suo re Carlo di Borbone.

Nell’affresco della volta del Salone delle Feste il De Mura, intorno al 1750, dipinse la battaglia di Velletri, in cui fu ferito anche il principe della Riccia, con l’episodio del giovane Sanseverino che fa scudo a Carlo di Borbone perdendo la vita per offrirgli il suo cavallo, col quale Carlo superò il nemico e giunse a Napoli col suo esercito. Nel 1942 l’affresco fu bombardato e nel 1950 il duca di Marigliano, proprietario in quegli anni, lo fece restaurare e ricostruire (ne restava solo la parte occidentale) e vi fece scrivere su un lungo cartiglio (con molte inesattezze) il ricordo della Congiura collegandolo alla vicenda risorgimentale, dunque con una superficiale commistione tra Borbone e Savoia.

Con l’estinguersi dei de Capua, l’ultimo erede aveva stabilito di fare acquisire il nome al secondo figlio di un Sanseverino di Bisognano, conte della Saponara. Questi, riparati molti debiti, pur non potendo accedere alla successione feudale, accettava di far precedere al suo nome quello dei de Capua, ma non trovava successione di eredi del figlio morto giovane e vendeva il palazzo ad un suo cugino, Francesco Saverio Marigliano, duca del Monte.

La Soprintendenza Archivistica per la Campania, Istituto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che occupa parte del palazzo, è fortemente impegnata alla valorizzazione di palazzo Marigliano che con la sua iscrizione “MEMINI” che si ripete sui frontali delle finestre e sull’arco di marmo dello scalone, esorta alla conservazione e al massimo rispetto della memoria per costruire, con la lezione delle vicende del passato, un consapevole futuro.

Maggio 1996[/vc_column_text][vc_column_text css=”.vc_custom_1578598895807{margin-top: 40px !important;}”]SCARICA IL PDF[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][ultimate_heading][/ultimate_heading][/vc_column][/vc_row]