Ministero peri beni e le attività Culturali

Soprintendenza Archivistica per la Campania - Soprintendenza per i beni Ambientali, Architettonici, Artistici, e Storici di Salerno e Avellino.

 Regione Campania -Servizio Beni Librari

 

Comune di Buonabitacolo

Comune di Caggiano

Comune di Montesano sulla Marcellana

Comune di Padula

Comune di Polla

Comune di Teggiano

Comune di Sala Consilina

Comune di San Rufo

 

Pro loco di Teggiano

Associazione culturale Carthusia Nova

 

Per una storia non scritta: Il 1799 nel Vallo di Diano

Documenti inediti e cultura materiale

Padula- Certosa (30 ottobre -27 novembre 1999)

Guida alla mostra

La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Regione Campania.

 

Coordinamento generale e cura della guida

Michela Sessa

 

Allestimento e ricerca iconografica

Diodato Colonnesi

 

Grafica

Gianluca Tramontano

 

 

Sotto l'egida del

COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL SECONDO

CENTENARIO DELLA REPUBBLICA NAPOLETANA DEL 1799

 

 

Con il contributo di

 

Banco di Napoli Spa

Alois

Antica Manifattura Ceramica Fratelli Stingo

Mario Di Domenico

INA Assitalia

Serpone al Duomo

SPHRAGIS srl di Bruno Becchetti - Roma

 

Si ringraziano

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

ISTITUTO BANCO DI NAPOLI

GIOVANNI CAMPOLONGO

LUIGI CARRANO

FRANCESCO COLONNESI

FRANCESCO LEMBO

PREMESSA

Giulio Raimondi

Soprintendente archivistico per la Campania

PREFAZIONE

La  convinta adesione del nostro Istituto all'invito della Soprintendenza Archivistica per la realizzazione di questa iniziativa, inserita  nel più ampio progetto delle celebrazioni per il Bicentenario della Repubblica Napoletana, oltre a corrispondere ai compiti istituzionali di promozione e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico del territorio, rientra nella precisa volontà di collaborazione e sinergia, già felicemente attuata con altri Enti quali l'Amministrazione Provinciale e il Comune di Salerno.

L'allestimento della mostra nel magniloquente contesto della Certosa, strettamente ancorata al territorio del Vallo di Diano di cui costituisce da sempre un fortissimo riferimento culturale, economico, sociale, colloca l'iniziativa culturale in una realtà viva e ricca di nuova progettualità.

Questa consapevolezza ha diretto i nostri passi nell’attuazione della politica culturale e territoriale degli ultimi vent’anni, durante i quali si è voluto restituire alla Certosa il suo ruolo di elezione, di contenitore o meglio di magica scenografia di eventi di grande rilievo.

Il progressivo recupero degli spazi e degli arredi, l’accurata scelta delle manifestazioni da proporre al suo interno, tutto è stato volto alla riaffermazione della sua centralità rispetto alle realtà storiche ed artistiche circostanti, una maniera, dunque, per far sì che il grandioso monumento, una volta abitato dai bianchi figli di S. Brunone, riacquistasse, non solo nel Vallo di Diano, ma anche in tutto il territorio salernitano, quel ruolo propulsivo che le vicende della  storia l'avevano costretto ad abbandonare. Tale influenza  andava molto al di là della sfera religiosa, in quanto i monaci contemplativi, immersi nella preghiera,  si rivelarono  anche accorti latifondisti, temuti da quella parte di popolazione locale che aderì ai moti libertari.

Appare quindi oltremodo significativo promuovere, proprio nella Certosa, la conoscenza della diffusione periferica degli ideali repubblicani nel Vallo di Diano dal momento che soltanto nel microcosmo è utilmente leggibile la cellula vitale che compone più larghe esperienze, e soltanto nella conoscenza del mondo complesso degli  equilibri territoriali storici è possibile la ricostruzione di una accertata e dinamica storiografia.

I fatti del '99, breve ed irripetibile stagione, sospesa tra utopia e repressione, tra grandezze e miseria, toccarono anche la Certosa: fu nello spazio antistante il monastero, a scherno dei monaci, che gli accesi repubblicani di Padula, guidati dal giovane Ettore Netti, eressero l'albero della libertà, simbolo della fede repubblicana: "Fra illuminazioni e spari di giubilo fu portata in processione la statua di S. Michele e deposta sotto l'albero, dove l'Arciprete Francesco Netti in cotta ed il padre Agostiniano del Convento di Padula., Agostino Alife, predicarono inneggiando alla libertà e alle armi francesi. Indi fra grida di  "Mora il tiranno, viva la libertà" i cittadini, fra i quali  la madre del Commissario Netti, D. Silvia Buonomo, ballarono a suon di tamburo intorno all'albero.  I monaci della Certosa  furono tutti scacciati ed arrestati,  e nella Certosa s'insediarono trionfalmente l'arciprete D. Francesco Netti e uomini e donne della sua famiglia[1].

Oggi, mutata radicalmente la temperie politica, la Certosa di San Lorenzo accoglie questa mostra dedicata al Bicentenario della Repubblica Napoletana, il miglior modo per ricomporre idealmente gli animi in nome della cultura  e per riaffermare il primato della ragione.

Maria Giovanna Sessa

Soprintendenza per i beni Ambientali, Architettonici,

Artistici e Storici di Salerno e Avellino.

 

Una fonte archivistica per il 1799: l'archivio privato Carrano

Paolo Carrano

 

L'archivio Carrano, la cui formazione è strettamente legata alle vicende della famiglia, assai felici in alcune occasioni, meno fortunate in altre, conserva documenti pergamenacei e cartacei di grande importanza non solo per la storia del Vallo di Diano. Come molti altri archivi pubblici e privati della Campania e dell’Italia in genere, ha risentito del trascorrere dei secoli, subendo danni soprattutto a causa degli eventi bellici che colpirono il Vallo di Diano; in particolare nel 1860 e nel biennio 1944-45. L'Unità d'Italia determinò gravi sconvolgimenti oltre che per la famiglia, divisa tra legittimisti borbonici ed innovatori risorgimentali (persino garibaldini!), anche per l’archivio che, per motivi di prudenza, venne interamente occultato in luoghi non adatti alla conservazione, nel timore che, venendo scoperto, potesse riaccendere vecchi rancori mai sopiti tra i componenti della famiglia filo Borbonici e quelli fedeli ai Savoia. L’occultamento causò danni dovuti all’umidità dei luoghi ed alle infestazioni.

L’evento sicuramente più distruttivo è quello legato al secondo conflitto mondiale: il bisnonno Luca Carrrano, all'epoca in età avanzata, preoccupato per la sorte dei figli in Napoli, soprattutto dei due ufficiali dell’esercito mobilitati per gli eventi bellici, non si avvide che uno dei proprii massari, credendo che “le carte” custodite in antichi cassoni nuziali non avessero alcun valore, prelevava i documenti per attizzare il fuoco[2]. Finita la guerra, dell’archivio si persero le tracce: la morte del bisnonno Luca, l’unico a conoscere il luogo dove erano nascosti i documenti, ne determinò l'oblio. Molti anni più tardi mio padre, Luigi Carrano, trovandosi a trascorrere per motivi familiari lunghi periodi di tempo in inverno a Teggiano, ritrovò per caso le casse che custodivano le carte. Incominciò a studiarle, avendo intuito che contenevano notizie storiche della famiglia e, contemporaneamente, ne avviò il restauro.

Il restauro procede ancor oggi, poco alla volta e tutto con fondi privati[3].

La famiglia Carrano è presente nel Vallo di Diano sin dall'alto medioevo con una fitta schiera di uomini d’arme, di legge, abati, medici, sindaci, governatori feudali, eletti, notai; tutti esponenti di quella facoltosa classe sociale che oggi verrebbe definita “borghese” ed un tempo era individuata nell'aristocrazia di provincia, che ruotava attorno alle famiglie della nobiltà magnatizia dell’epoca feudale. Fu molto vicina ai Sanseverino, condividendone gli splendori e l’oblio, ricevendo da tale casato privilegi eccezionali. La prima notizia di un Carrano risale al 3 maggio 1305 e riguarda Guglielmo Carrano, proprietario di una terra nella località Castagneta. Successivamente, il 28 luglio 1339, è documentato Nicola Carrano, proprietario di una terra in località Sassano; allo stesso Nicola Carrano fa riferimento con molta probabilità un altro documento dell'8 gennaio 1354, dove si legge che Nicola, figlio del dominus Guglielmo, nobile di Diano, vende una terra in località Pozzo[4]. Nella stessa epoca è documentato Angelillo, primo eletto di Teggiano di cui si ha memoria. La prima notizia di un notaio Carrano risale al 1434[5], ma lunga è la serie dei notai, determinando per i documenti medievali la prevalenza di atti notarili.

L’archivio Carrano possiede un fondo pergamenaceo di oltre cento documenti, per lo più riferiti a vicende familiari ma non solo, databili dal XIII al XVIII secolo; rispetto alla tipologia, prevalenti sono quelli di natura notarile (vendite, permute, donazioni, testamenti), ma vi sono anche privilegi, concessioni feudali, rescritti, bolle vescovili e papali. Diversi documenti notarili dei secc XV - XVIII devono la loro stesura a notai di famiglia come Nicola, Scipione, Domenico Antonio, Giacomo; quest'ultimo fu il notaio che stipulò la pace successiva alla 'congiura dei baroni' tra il principe di Salerno, Antonello Sanseverino, ed il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, al termine dell’assedio della città di Diano del 1497[6]. Per tale onorevole incarico Giacomo si guadagnò il titolo di “patrizio dianese e cavaliere ereditario”.

Inutile sottolineare come il fondo pergamenaceo dell'archivio Carrano costituisca una fonte preziosa per lo studio di quello che fu in età feudale “lo Stato di Diano”, comprendente la città di Diano con i suoi cinque casali: Sassano, San Giacomo, San Rufo, San Pietro e Sant’Arsenio, tutti per un motivo o un altro presenti negli atti dell’archivio.

Un discorso a parte meritano due frammenti membranacei di un codice greco, risalente al X-XI secolo, facenti parte dei minea, canti basiliani in onore di sant’Agatone l’etiope, unici documenti esistenti nel Vallo che attestano la presenza basiliana in Teggiano. La famiglia possiede tra l’altro un antichissimo ius patronatum sulla diaconia basiliana e l'annesso ospedale per lebbrosi di San Nicola dei Greci o dei Carrano, contiguo Palazzo Carrano al Largo Sant’Angelo.

Sempre con riferimento al fondo pergamenaceo, notevole interesse riveste il documento riguardante la capitolazione della città di Diano, ma non del castello, del 13 maggio 1431, probabilmente connesso all’attività di milite di Masello Carrano (lo stesso che venne inviato dalla città presso i Sanseverino per chiedere la riconferma degli antichi privilegi concessi a Diano). Così come interessantissimo è il privilegio nobiliare di commensale, familiare, cavaliere aurato, cavaliere "in perpetuum con cingolo militare” concesso ad un mio antenato da Carlo V d’Asburgo, con sottoscrizione autografa dell'imperatore[7].

Passando al fondo cartaceo, di notevole interesse sono un vasto corpus di carte sparse che vanno dal 1311 alla fine del 1500, e quattro manoscritti cinquecenteschi recentemente restaurati e raccolti in un volume. Si tratta dei modelli di atti notarili[8] (una sorta di prontuario per i notai della mia famiglia) e della raccolta di prammatiche del Regno di Napoli[9].

Un’altra fonte preziosa per la conoscenza della vita quotidiana della città di Diano in età feudale è rappresentata dalla serie dei Parlamenti dell’Università di Diano della fine del Cinquecento (4 dicembre 1582 – 1 ottobre 1596) e della seconda metà del Seicento (23 marzo 1652 – 25 agosto 1698). Nei verbali del Parlamento cittadino sono documentate le cariche in seno all’amministrazione, la formazione del catasto, l'esazione delle tasse, l’annona, i rapporti tra le classi (feudatari, clero, nobili, borghesi, massari, artigiani e pastori), le feste, i culti, le carestie, le pestilenze, insomma tutta la vita sociale della città nel Cinquecento e nel Seicento. L’indagine sulla vita quotidiana dei secoli scorsi può essere ampliata con la consultazione di un altro manoscritto dell'archivio, quello contenente gli Statuti e Capitoli che regolavano il governo della città. Sempre a Diano, ma questa volta anche ai casali che gli facevano corona, fa riferimento un fascicolo riguardante il funzionamento della corte baronale[10].

In ultimo ma non ultimi, tutta una serie di carteggi riguardanti il possesso dello jus patronatum della badia di San Nicola dei Greci o dei Carrano, nelle quali oltre a molte notizie sui luoghi pii e sulle chiese della città, sul loro funzionamento, sul numero degli ecclesiastici, si rinviene la prima notizia di un feudo nobile posseduto dalla mia famiglia nel XV secolo.

Per una più accurata descrizione dei materiali presenti nel nostro archivio è d'obbligo riferirsi alla scheda ad esso dedicata da Arturo Didier, in Diano città antica e nobile[11].

Qui mi limito ad elencare soltanto alcuni dei documenti offerti in mostra (per non privare i visitatori del piacere di scoprire la storia attraverso la lettura degli stessi), strettamente legati agli uffici militari e giudiziari di Francesco, Giambattista e Cono ed a quelli ecclesiastici ricoperti dai fratelli Luca, Luigi e Pasquale Carrano.

Uno dei documenti provenienti dal nostro archivio è la lettera spedita il 19 aprile 1799 per ordine del cardinale Ruffo, vicario generale dei Re, a Giovan Battista Carrano, contenente l’ordine alle truppe dell'Armata Cristiana che trovandosi a passare per Diano non avessero in alcun modo a molestare la città in onore dei fratelli Carrano. Un altro documento messo a disposizione è il giuramento prestato il 5 febbraio 1799, alla presenza del notaio Paolo Matera, da alcuni fedelissimi aristocratici dianesi, che promettevano solennemente di mettere in pericolo le loro vite, i loro beni, le loro famiglie ed infine di spargere il sangue dei nemici del Trono, per amore della reale persona di Ferdinando IV. Documento eccezionale, che testimonia l’asprezza della lotta politica ed armata, e che si contrappone ad un altro documento, sempre stipulato dal notaio Paolo Matera, contenente la dichiarazione di fedeltà alla Repubblica, fatta dai giacobini di San Rufo il 16 febbraio 1799.

Importante è anche un altra lettera del Cardinale Ruffo, inviata questa volta al governatore della città di Diano il 7 maggio 1799, con la quale si avvertiva che, essendo Diano già “normalizzata”, il passaggio delle truppe regie non sarebbe avvenuto. Il cardinale infatti passò alle spalle del Vallo per giungere poi a Napoli.

In mostra vi è il proclama di Ferdinando IV datato 12 settembre 1799 con disposizioni sull'ordine pubblico, una relazione del giudice regio don Francesco Maria Carrano del 7 marzo 1800, le disposizioni per la formazione delle masse armate del 1° dicembre 1800. Quest’ultimo documento, di facile lettura, testimonia come l’emergenza non venisse considerata conclusa dal governo borbonico, che anzi si preparava a fronteggiare, sempre con il sistema delle truppe irregolari, la nuova minaccia napoleonica. Ancora si potrà vedere esposto il regio decreto di nomina di Giambattista Carrano a luogotenente, giudice, governatore del feudo di Capaccio, sequestrato al principe d'Angri dichiarato reo di Stato. Concludendo, la speranza è di aver contribuito, con l'apertura dell'archivio familiare e con queste poche pagine (pur senza essere "professionisti" della ricerca storica e possedendo una soggettiva e personale visualizzazione degli avvenimenti), ad una serena disamina di ciò che accade durante un periodo breve ma drammatico, denso di avvenimenti anche in una provincia lontana dalla Capitale.

 Il patrimonio archivistico di Teggiano e le fonti per la storia del 1799

Arturo Didier

 

Non a caso il più cospicuo, ma anche il più interessante, gruppo di documenti di questa mostra proviene dall'archivio Carrano di Teggiano, uno dei più importanti archivi privati della provincia di Salerno[12]. Da allora non pochi studi sulla storia medievale e moderna del Vallo di Diano hanno fatto riferimento ai documenti conservati in suddetto archivio, la cui consultazione è assicurata dalla sensibilità e dall'amabilità dell'illustre famiglia che, con una fitta serie di notai, giudici ed alti prelati, ha accompagnato lo sviluppo storico di Teggiano.

Ma il patrimonio archivistico di Teggiano annovera anche altri fondi, più settoriali ma non meno importanti, che vanno presi in considerazione, a cominciare dall'archivio diocesano nel quale trova posto, perfettamente custodita ed inventariata, una vasta documentazione riguardante la storia socio-religiosa del Vallo di Diano e delle zone limitrofe[13].

Ci sono poi gli archivi parrocchiali, quello di S. Maria Maggiore (la cattedrale), che è il più consistente, e quello di S. Andrea che conserva tra l'altro un registro di battesimo che si apre con un atto del 16 ottobre 1557.

Ed infine c'è l'archivio comunale che, nonostante le dispersioni verificatesi in varie epoche, contiene ancora una gran mole di documenti che andrebbero restaurati e inventariati, a cominciare dal voluminoso manoscritto che accoglie il Catasto onciario del 1754 di Diano (Teggiano dal 1862). Da quest'ultimo archivio proviene il Registro dei Parlamenti di Diano (1797-1801), esposto in mostra alle pagine in cui sono trascritti i resoconti di due assemblee cittadine, rispettivamente del 5 e del 10 aprile 1799[14]. La prima assemblea è convocata in seduta straordinaria da due comandanti sanfedisti, luogotenenti di Gerardo Curcio detto Sciarpa, giunti da Polla al comando di una banda armata per proclamare il ritorno ai Borbone e per chiedere minacciosamente aiuti (uomini e denaro) in favore della causa monarchica. La seconda, a cinque giorni di distanza, attesta che, fallito il moto rivoluzionario, a Diano è stata ripristinata la tradizionale amministrazione, capeggiata da Antonio Carrano, realista, il quale ha riunito il parlamento per procedere all'elezione dell'Ufficiale di Giustizia, ordinata, si badi, dal Comandante generale delle forze sanfediste, Rocco Studuti, che affianca Gerardo Curcio nell'opera di "normalizzazione" dei centri del Vallo di Diano.

Non meno importanti sono i resoconti delle altre sedute parlamentari che si trovano sullo stesso Registro e che permettono di far luce sui problemi che assillarono la comunità dianese prima e dopo la rivoluzione del 1799, il più importante dei quali è certamente quello della ripartizione dei terreni demaniali in parti eguali tra i cittadini, ripartizione che rappresenta il motivo ricorrente in questi verbali delle assemblee civiche.

Ma questo Registro riserva una sorpresa finale: al termine dell'ultimo verbale, girando pagina si trova, quasi come se fosse un'appendice, la copia di un documento del 17 maggio 1811, che è l'ordinanza con cui veniva stabilita, dal regio ripartitore Paolo Giampaolo, la divisione del demanio di Diano: atto ufficiale fondamentale, col quale si sanciva, per i beni fondiari ma anche per l'economia locale, il passaggio dall'ancien régime ai tempi moderni[15].

Va ricordato, inoltre,  che questo manoscritto dell'archivio comunale è collegato ai due preziosi manoscritti dell'archivio Carrano che contengono i verbali del Parlamento di Diano.

Il patrimonio documentario di Teggiano non finisce qui: dulcis in fundo, nella biblioteca del Seminario sono conservate ben 662 pergamene (secc. XII-XVIII) alle quali vanno aggiunte le 135 pergamene (secc. XIII-XIX) dell'archivio Carrano. Si tratta, come si vede, di un fondo pergamenaceo notevole, che peraltro è in corso di pubblicazione[16].

Montesano nel 1799: un esperimento di didattica alternativa

Teresa Rotella

 

"…Agnese Barbella, Cristina Russo e Maria Spinelli si erano riunite in cucina, dalla casa padronale dopo  un po' vi giunse correndo Don Nicola Cestari scalzo e con la testa insanguinata, lo seguivano molti compaesani, fra cui Gaetano Abbatemarco che lo afferrò per il braccio, Valeriano Vignati ed Andrea Montemurro detto il "Quarantino", i tre guardiani della grancia di Cadossa che dopo averlo percosso, e ferito ripetutamente, mentre ancora parlava gli recisero la gola e poi iniziarono a festeggiare, dileggiando e facendo scempio del cadavere. Alla fine dello scempio indicibile Domenico Larocca gli recise la testa e la conficcò su un palo che portò successivamente in piazza al posto dell'albero della libertà…"[17]

La vivezza del racconto della morte di Nicola Cestari, che le carte giudiziarie ci trasmettono, rende l'episodio tragico ma emblematico, pregno di significato se letto nel contesto generale della rivoluzione napoletana, alla luce delle contraddizioni umane e culturali del nostro meridione.

Il lavoro svolto per le celebrazioni del Bicentenario con i ragazzi della scuola media "Abate Giuseppe Cestari" ha inteso ricostruire un avvenimento che ha segnato la vita di antiche famiglie montesanesi, generando odi, rancori ed inimicizie, sopite solo dallo scorrere dei secoli. Sull'episodio di crudeltà fratricida è calato un velo di silenzio pietoso, che ha finito per coprire di oblio la stessa memoria dei fatti. La ricerca ha permesso di ritrovare documenti minimi, ma di grande valore storico. Gli atti d'archivio non sono stati considerati solo fredde cronache di fatti storicamente avvenuti, ma piuttosto come testimonianza inconfutabile di un malessere sociale, che generava  ribellione al malgoverno e cercava le occasioni per punire soverchierie padronali. La tragicità e la grandiosità dei fatti non potevano essere presentate ai giovani se non sotto forma di un'attività didattica stimolante, come quella del "laboratorio del cantastorie". Qui il fatto veniva smembrato in diversi episodi, affidati all'interpretazione ed alla rappresentazione di vari gruppi di ragazzi che, stimolati a riconoscersi nella "storia", hanno ripercorso anche emotivamente l'iter dell'avvenimento: cause, eventi e conseguenze. Il successo ottenuto fa riflettere su questo: i giovani hanno saputo rivivere con maturità e responsabilità storica un fatto che giustifica, ancora oggi, atteggiamenti di riserbo, chiusura e diffidenza del cittadino montesanese.

Questa la cronaca tramandata dai documenti: dieci giorni dopo l'innalzamento dell'albero della libertà repubblicana, a Montesano  un  gruppo di facinorosi, in esecuzione di un disegno criminoso minuziosamente studiato, uccide Nicola Cestari, capo della municipalità, ed in segno di estremo oltraggio, dopo avergli reciso la testa, mangia un pezzo delle sue guance dopo averle arrostite! Nicola Cestari, persona facoltosa ed avveduta, aveva larghe aderenze a Napoli, dove aveva studiato[18] e certamente aveva fatto un uso spregiudicato del suo potere: tutti i partecipanti all'omicidio, soprattutto gli Abatemarco, avevano vecchi motivi di rancore e risentimento nei suoi confronti. Ad esempio vi erano state polemiche durante le elezioni del 1798, che avevano fatto prevalere il "popolo basso" e che Cestari aveva fatto annullare e ripetere. Inoltre, in occasione delle leve forzate decise da Ferdinando IV per potenziare le truppe alla vigilia della guerra contro la Francia, Gioacchino Abatemarco aveva protestato perché, pur avendo un figlio sotto le armi, il Cestari ne aveva fatto partire un altro. Infine, in una vertenza sorta per questioni agrarie tra contadini montesanesi e certosini padulesi, il capo della municipalità si era schierato dalla parte dei monaci. Sia ben chiaro: tutto questo non può servire a giustificare un eccidio, soprattutto con modalità così feroci, ma serve a comprendere il clima, la dimensione mentale .

Certo  le vicende del 1799 a Montesano sono esemplare testimonianza delle faide familiari, che costituiscono il filo rosso della storia delle comunità locali meridionali, soprattutto di quelle più isolate dalle grandi vie di comunicazione.

La ricerca realizzata con gli alunni della scuola, oltre a costituire un esempio di didattica della storia, ha cercato anche di fare uscire dall'ombra gli abitanti di Montesano di due secoli fa: poveri contadini e pastori, per eredità feudale costretti a divenire il braccio armato dei potenti locali.

Repubblicani e sanfedisti a Sala nel 1799: la ricchezza delle fonti ecclesiastiche

Giuseppe Colitti

 

Se a Montesano nel 1799 la lotta tra fazioni, o meglio tra famiglie, giunse alla drammatica aberrazione del cannibalismo, Sala, allora sede vescovile e feudo di Diano, registrò, a quanto pare, il maggior numero di saccheggi e di morti ( 16 quelli rilevabili dai registri parrocchiali, non tutti, purtroppo, conservati) e l’incendio della biblioteca di uno studioso di diritto, un riformista di scuola genovesiana, il sacerdote Diego Gatta che, oltre alla raccolta pubblicata dei Dispacci reali, ha lasciato ampia traccia di sé nel Registro delle pubbliche conclusioni della parrocchia ricettizia di S. Stefano, di cui era partecipante. Se l’uccisione del nipote Michele è sicuramente dovuta alla dichiarata fede repubblicana, più cauta appare la posizione di Diego che, pur difendendo un istituto corporativo di tipo feudale come la chiesa ricettizia, aveva preso una posizione riformistica anticuriale contro la manomorta, e di denuncia del mancato rispetto del catasto onciario: non condivideva gli eccessi repubblicani di altri preti come Nicola Bosco, che inveisce contro il sovrano, ma era quasi certamente malvisto in ambito ecclesiastico, dove la chiesa ricettizia rappresenta un ostacolo per il pieno controllo sull’accesso al sacerdozio.

E’ certo che le idee di uguaglianza e libertà erano arrivate da tempo anche a Sala come, con tutta probabilità, nel resto del Vallo di Diano: libri della cultura illuministica arrivarono anche qui, nonostante i divieti del re e gli ammonimenti dei vescovi, pel tramite dei pochi che si recavano a studiare presso l’università di Napoli. La spezieria del notaio Giovanni Cioffi era una sorta di circolo di repubblicani, dove il sacerdote Nicola Bosco, curato economo della parrocchia di S. Eustachio, leggeva proclami contro il re e in lode della Repubblica; il Cioffi ed altri fecero pubblica illuminazione con lanterne recanti le lettere L (Libertà) e E (Eguaglianza). Qualcuno, come il sacerdote  Michele Venere e Alessandro Petrini, aveva preso contatti coi Francesi al loro arrivo a Roma; e così il vicario generale Filippo Grammatico, che aveva ricevuto sin dal maggio 1798  Vincenzo Origo, di Sarno, futuro commissario repubblicano. Qualche altro, come Angelo Russo, si era recato più volte in Francia; Filadelfo Bove, che «andava di zazzera e barbetta alla giacobina», si diceva essere stato discepolo del Lauberg. Altri li seguirono, apponendosi la coccarda tricolore, imponendola ad altri, come agli stessi cappuccini, o difendendola a oltranza.

A Sala, come altrove, troviamo schierati sacerdoti dalla parte dei repubblicani accanto alla borghesia illuminata, e sacerdoti da quella dei sanfedisti. Lo stesso vicario generale della diocesi, che aveva la curia nel palazzo vescovile di Sala, Filippo Grammatico, era repubblicano, mentre il vescovo di Capaccio Torrusio era, col vescovo di Policastro Ludovici, plenipotenziario del cardinale Fabrizio Ruffo.

A Sala risultano, tra i beni sequestrati ai rei di stato, anche quelli di Francesco Caracciolo, dalla cui rendita fu in parte ricompensato il colonnello borbonico Alessandro Schipani.

Nella notte del 27 febbraio Michele di Donato, di Polla, inviato da Gerardo Curcio detto Sciarpa, svelse l’albero della libertà eretto pochi giorni prima, e tenne a Sala il campo con saccheggi e uccisioni per alcuni mesi, da marzo a ottobre: l’ultimo atto di violenza fu compiuto contro il sacerdote Mariano di Vita, accoltellato nel sonno, dopo essere stato derubato. Nicola Bosco restò a lungo nascosto, fino a quando non poté uscire con la protezione del vescovo Torrusio.

Il conflitto tra Stato e Chiesa, che passava anche attraverso la gestione delle chiese patrimoniali ricettizie come quella di S. Stefano a Sala, dovette lasciare un’impronta forte nei fatti del ’99. Di lì a pochi anni, col ritorno dei Francesi e l’eversione della feudalità, la situazione del paese, che dipendeva da Diano, mutò radicalmente; Sala divenne uno dei quattro capoluoghi di distretto della provincia di Principato Citra (poi, con qualche variazione, provincia di Salerno). E’ qui, molto probabilmente, la sua radice di centro della massoneria e dei relativi movimenti risorgimentali nel Vallo durante le vicende che porteranno all’unità d’Italia.

Dopo la distruzione dei moltissimi documenti di Stato per volere del re, e dopo le perdite subite dagli archivi durante la seconda guerra mondiale, acquistano grande importanza i documenti ancora reperibili in periferia, negli archivi parrocchiali e negli archivi delle famiglie private, per capire meglio lo sconvolgimento del ‘99 che investì tutto il Regno di Napoli, anche le aree più interne, dove una sia pure sparuta minoranza intellettuale cercava di scalzare il colosso feudale e di rinnovare dalle fondamenta lo Stato.

Si tratta di cercare di ricostruire i tasselli mancanti per venire a capo di una situazione che, con tutti i suoi limiti, resta alla base dei cambiamenti successivi.

 

"L'albero coppoluto nel regno dell'inganno": Polla centrale operativa della controrivoluzione

Giuseppe D'Amico

 

"Ottodì 28 Piovoso (sabato 16 febbraio) anno VII della Libertà; I della Repubblica Napoletana, Una e indivisibile". Sul nr. 5 del <<Monitore Napoletano>>, il cui originale è esposto in mostra, Eleonora Pimentel De Fonseca scrive che "continuano ad essere disgustosissime le notizie di varie parti dell'interno della Repubblica".

E' fuor di dubbio che il Vallo di Diano per la sua collocazione strategica sulla via per le Calabrie giocò un ruolo decisivo per le sorti della Repubblica.

A Polla sarà infatti istituito il quartier generale delle truppe realiste, che potranno agevolmente controllare i traffici viari; sempre a Polla si fermeranno per diverso tempo i massimi responsabili del movimento sanfedista, i vescovi di Policastro e Capaccio mons. Ludovici e mons. Torrusio, unitamente al capitano inglese Guglielmo D'Arley.

Il 17 febbraio 1799 rappresenta la data di inizio  nel Vallo di Diano dei moti rivoluzionari contro la neonata Repubblica Napoletana: l'uccisione di Nicola Cestari, capo della municipalità di Montesano, piccolo centro all'estremo sud di Principato Citra, è peraltro uno dei più sanguinosi avvenimenti del semestre rivoluzionario[19]. Il pranzo macabro allestito dopo l'omicidio, dettato dalla volontà di oltraggiare Cestari anche da morto, si presta all'interpretazione antropologica che individua nel cannibalismo il desiderio di acquisire le doti positive possedute in vita dal nemico[20].

Recenti analisi degli atti del processo a carico dei mandanti e dei responsabili dell'assassinio di Cestari permettono di avanzare l'ipotesi di una diversa matrice dell'omicidio: esso fu determinato da vecchi rancori e risentimenti più che dalla fede repubblicana del Cestari. Alcuni atti del processo a carico dei mandanti e degli esecutori dell'assassinio[21], hanno consentito di fare piena luce sulle modalità del crimine, consentendo tra l'altro di dubitare che Cestari sia stato ucciso perché giacobino. Infatti, secondo quanto affermato da più testimoni durante il processo, Cestari non aveva affatto dimostrato simpatia nei confronti della neonata repubblica, costringendo il figlio a togliere la coccarda tricolore che aveva ricevuto nella vicina Tramutola, dove si trovava per motivi di studio.

Sette giorni dopo l'omicidio a Montesano, si verificò un altro grave episodio a Casalbuono, allora Casalnuovo, dove gli stessi assassini del Cestari uccisero e depredarono alcuni soldati francesi diretti a Napoli e provenienti dall'Egitto, via Crotone.

Il 25 febbraio Gerardo Curcio detto Sciarpa rompe gli indugi e abbatte l'albero della libertà che pure aveva contribuito ad innalzare nella piazza principale di Polla. Contemporaneamente invia i suoi uomini a fare altrettanto a Pertosa e nei paesi vicini. A Sala, ben conscio dell'importanza strategica che questo centro aveva nel Vallo di Diano, destina un gruppo di uomini al comando del capitano Michele Di Donato il quale, dopo aver abbattuto l'albero della libertà il 27 febbraio, resta a presidiare la città ordinando parecchi omicidi.

Anche per la figura di Sciarpa è stato possibile dare risposte ad interrogativi rimasti insoluti, e questo grazie ai documenti custoditi nell'archivio privato Carrano: tra i documenti esposti in mostra, l'ordine segretissimo che dispone la scarcerazione di alcuni capimassa e sancisce il "non luogo a procedere" nei confronti di Sciarpa, Fra' Diavolo e Mammone, permette di individuare proprio nei Carrano, fedeli alla monarchia borbone e collegati con la corte di Vienna, coloro che forniscono alla reazione sanfedista nel Vallo ordini, uomini e mezzi.

Il 27 marzo, a Campestrino, lo stesso Sciarpa respinge in modo rocambolesco le truppe giacobine e francesi dirette in Calabria al comando del generale repubblicano Giuseppe Schipani; nello stesso giorno il colonnello  Alessandro Schipani, altro luogotenente di Sciarpa, si riprende Sicignano che era stata appena occupata dai giacobini dell'altro Schipani.

Dal punto di vista militare, l'avvenimento decisivo, e non soltanto per il Vallo di Diano, è rappresentato dalla vittoria conseguita da Sciarpa a Castelluccia, oggi Castelcivita, dove, di ritorno da Roccadaspide, Giuseppe Schipani lo attacca ma viene sconfitto. E con questa sconfitta le sorti dei repubblicani cominciano definitivamente a traballare. In merito ai giudizi negativi espressi sinora su Giuseppe Schipani e sulla tattica da lui adottata nella battaglia di Castelluccia, pesa enormemente l'opinione espressa da Vincenzo Cuoco nel suo saggio sulla rivoluzione, al quale si rifaranno quasi tutti gli storici che si occuperanno della vicenda. Per inciso, senza nulla togliere alla validità del contributo cuochiano per quanto riguarda l'analisi delle forze politiche in campo, qualche riserva si può nutrire su Cuoco cronista; ad esempio nel suo ampio lavoro esigui sono i riferimenti cronologici e non bisogna sottovalutare l'influenza, durante la stesura, della sua condizione di emigrato all'estero per scampare le forche borboniche.

Non è certo possibile analizzare in poche righe la battaglia di Castelluccia e valutarne le conseguenze, ma certamente la sconfitta di Giuseppe Schipani spalancò le porte della Basilicata a Sciarpa che, in rapida successione, conquistò alla causa sanfedista Vietri di Potenza, Tito, Picerno, prima di entrare nella città di Potenza, garantendo una preziosa copertura all'armata cristiana in marcia verso Napoli attraverso la Puglia.

Questa per cenni la cronaca degli avvenimenti; ma cosa resta della rivoluzione del 1799 due secoli dopo? Indubbiamente molto, e non solo in quanto preludio dell'epoca risorgimentale ed unitaria. Molto importanti sono da considerare le manifestazioni del Bicentenario, che con diverso scopo e valore si sono organizzate un po’ dovunque, testimoniando dell'attualità dell'esperienza repubblicana. La qual cosa, in conclusione, ispira due considerazioni.

La prima è che sull'esperienza repubblicana non si è scritto tutto perché non si è scavato a fondo negli archivi, soprattutto in quelli familiari ed ecclesiastici, la cui ricchezza è testimoniata dai documenti in mostra. C'è da sperare nella sensibilità dei possessori di antichi archivi familiari  (e sono tanti!) e nella loro disponibilità ad offrirli come fonti per la ricerca storica.

La seconda considerazione riguarda alcuni elementi di continuità e costanza che episodi, vecchi di due secoli, trasmettono fino ai nostri giorni: ad esempio, come negare che i capimassa sanfedisti costituiscono il modello, magari rozzo e feroce,  dei super ricompensati procacciatori di voti odierni, senza i quali è impensabile fare politica ed attraverso i quali si afferma il predominio di chi ha le risorse economiche, ma forse non l'intelligenza e la spinta morale. Ed ancora: che differenza c'è tra uno Sciarpa (che abbandona senza indugi i repubblicani per trasferirsi armi e bagagli nelle file realiste) ed i trasformisti della politica odierna che cambiano partito come gli abiti? Neanche i delatori mancano all'appello, e le parole di un cronista dell'epoca, lo Stassano, lo confermano: "Nei paesi, dopo la caduta della repubblica, si formarono clubs di gente perduta, che speravano farsi merito con la rovina altrui. Formavano un catalogo delle persone da accusarsi, con le imputazioni che intendevano dare a ciascuno, acciò si fossero trovati sempre unisono nelle loro denunce".

Ora come allora è la politica a svolgere un ruolo preminente nella società e sono davvero molti gli avvenimenti di ieri uguali a quelli di oggi!

 

Storia e quotidianità: documenti di cultura materiale

Emilia Alfinito

 

 

Alcune carte, indispensabili per ridisegnare la storia del Vallo di Diano, sono rimaste gelosamente celate in un ricco archivio locale, rimasto per secoli inaccessibile alla consultazione, forse perché si tramandasse  una storia ben diversa da quella realmente accaduta, conservava una verità nascosta. Solo in occasione del Bicentenario dell'esperienza repubblicana del 1799 gli armadi si sono dischiusi ed ogni personaggio ha assunto la sua giusta collocazione nello scenario dei moti libertari. Si sono svelate losche trame ai danni di un'ingenua popolazione, eroi sono caduti dal piedistallo e sono stati scoperti personaggi di spicco, longa manus della corte napoletana.

Così si fa la storia, quella con la "S" maiuscola, che richiede tenacia, sacrificio, sguardo acuto e l'intraprendenza e la diplomazia che sole riescono ad aprire inaccessibili archivi e biblioteche. La storia locale, in questo caso, riflesso ed arricchimento di quella nazionale ed internazionale.

Ma la Storia la fanno gli uomini e le donne, quelli del Cinquecento, del Seicento, del Settecento….  Uomini e donne che vivono la vita di tutti i giorni, anche se intenti a così grandi ed importanti imprese, che come tutti mangiano, dormono, si vestono, lavorano.

E' possibile quindi ricostruire alcuni aspetti della vita  quotidiana di questa piccola fetta di Regno di Napoli, in cui risiedevano i proprietari dei pochi ed eterogenei oggetti in mostra, piccolo patrimonio storico. Questi oggetti, giunti sino a noi dopo due secoli, sono anch'essi documenti, testimonianza preziosa così come gli atti estratti dagli archivi

Alcuni di essi rivelano, ad esempio, i contatti esistenti tra questa periferia e  la  corte napoletana; infatti la borghesia del Vallo, ed in genere di tutta la provincia a sud di Salerno, era proiettata sicuramente più verso la capitale che non verso Salerno. Le famiglie più facoltose avevano  casa a Napoli, alcune di esse frequentavano anche la corte, come i proprietari delle stampe con i ritratti dei sovrani e del medaglione in cui è raffigurata la regina Maria Carolina. Era quest’ultimo il dono della sovrana di origine austriaca per un “fedelissimo amico", con cui intratteneva piacevoli contatti.

Pochi gli oggetti in mostra, si è detto, pochi ma rappresentativi di un modo di vivere proiettato verso il centro del potere, ma anche intimorito da questo. Prova ne è l’altro medaglione in esposizione, appartenente ad un altro collezionista, in cui è raffigurato un  ufficiale dell’esercito giacobino. L’immagine venne occultata, girandola verso l’interno e sul retro venne rapidamente e malamente dipinto un busto virile, per il timore di essere scoperti e condannati per tradimento. L’appartenenza dell’ufficiale del ritratto alla cellula rivoluzionaria è stata individuata grazie alla foggia della pettinatura e degli abiti detti alla “giacobina”, che era in genere l’abbigliamento dei notabili meridionali. Furono costoro, comunque, il nerbo di quella classe sociale che determinò una  rivoluzione sicuramente non sentita né voluta dal popolo.

Gli armadi delle case del Vallo conservano abiti di questo genere ed anche capi più eleganti, panciotti ricamati, corredi di preziosi paramenti sacri appartenenti ai membri della famiglia che avevano scelto la vita sacerdotale. In mostra è esposta anche la livrea di un servitore, imbottita nel suo interno da una bassa pelliccia, dato il gran freddo che faceva in zona.

I deliziosi cappellini di paglia, leziosamente adorni di colorati fiori di rafia, di nastri, veli, passamanerie seguivano sicuramente i dettami della moda napoletana e forse di quella austriaca o anche di quella francese: madame era sempre  al corrente di quel che "si portava"  in ogni momento e,  quando tornava in paese dalla sua bella casa napoletana, era, come sempre, notata per la sua eleganza.

 

Documenti*

 

Diano - dal 1862 Teggiano

 

Dichiarazione dei realisti di Diano

5 febbraio 1799

Agli inizi del febbraio 1799, mentre in tutti i centri del Vallo di Diano i giacobini scendono in piazza reclamando l'elezione delle nuove municipalità repubblicane, un nutrito gruppo di realisti di Diano fa redigere dal notaio Paolo Matera un documento nel quale attestano pubblicamente la loro fedeltà alla monarchia borbonica, esecrando l'esercito francese che ha invaso il Regno " per introdurci il nefando Sistema Francese e la pretesa Democrazia, col rovescio della Sacrosanta Religione, e del Regal Trono, e di tutto l'Ordine".

Archivio privato Carrano

A.D.

 

Assemblea cittadina straordinaria

5 aprile 1799

I comandanti delle truppe sanfediste, Angelo Biscotti e Giuseppe  Maria di Sevo, inviati da Gerardo Curcio detto Sciarpa, riuniscono l'assemblea cittadina per proclamare la fedeltà alla monarchia e per chiedere aiuti (uomini e mezzi) in favore della causa controrivoluzionaria.

Archivio comunale di Teggiano - Registro dei Parlamenti di Diano (1799-1801)

A.D.

 

Salvacondotto per la città di Diano e per la famiglia Carrano

19 aprile 1799

Su richiesta del giudice regio Francesco Maria Carrano, il Comandante dell'Armata Cristiana, acquartierata a Castelluccia (oggi Castelcivita), rilascia un salvacondotto per la città di Diano e per la famiglia Carrano.

Archivio privato Carrano

A.D.

 

L'attività di "normalizzazione" dopo la tempesta rivoluzionaria

7 marzo 1800

Il giudice Regio Francesco Maria Carrano, incaricato dal Visitatore generale della Provincia di Salerno Vincenzo Marrano, di "normalizzare" la situazione politica ed il gettito fiscale in alcuni paesi (Pertosa, Caggiano, Polla, Diano, Padula), svolge egregiamente la sua missione e poi comunica al Visitatore i risultati raggiunti.

Nel sottolineare le difficoltà incontrate, egli scrive: "La miseria che qui, ed in tutti i luoghi di questo Diparto, regna per la scarsa passata raccolta, e per la continua malagevolezza del tempo, è lo scoglio che fa ritardare l'esazione delle collette; me ne affliggo, e non posso rimediarci senza mettere alle strette gli poveri sudditi di Sua Reale Maestà. Userò la forza contro de' mal'intenzionati, de' quali procura diminuirne sempreppiù il numero, e segregarli da' buoni, acciò restando soli, più agevolmente si sottomettino, e non trovino sequela".

Archivio privato Carrano

A.D.

 

La ricompensa per un fedele suddito

9 novembre 1800

La Regia Camera della Sommaria conferisce a Giovan Battista Carrano la nomina di Governatore del feudo di Capaccio sequestrato al Principe di Angri, che è stato dichiarato reo di Stato.

Archivio privato Carrano

A.D.

 

Polla

 

Lettera del cardinale Ruffo al Governatore di Diano

7 maggio 1799

Da Matera il Cardinale Ruffo scrive al Governatore di Diano, avvertendolo  che alcuni giacobini di Polla hanno sollecitato i giacobini di Napoli a venire nel Vallo di Diano  "ad oggetto di fare una sanguinosa vendetta sul partito realista"; pertanto i cittadini di Diano "si pongano sollecitamente tutti in armi, come si è ordinato, per difendere il proprio Paese, e le proprie vite, né aspettino che li nemici avanzino, ma vadino a respingerli ed a seminarli, mentre Io verrò in loro aiuto con la maggiore sollecitudine possibile".

Archivio privato Carrano

A.D.

 

San Rufo

 

Adesione dei cittadini di San Rufo alla Repubblica Napoletana

16 febbraio 1799

A San Rufo, casale di Diano, a metà febbraio 1799, i cittadini scendono in piazza e, dopo aver ascoltato un discorso tenuto da Giovanni Pellegrino, inneggiante all'avvento  della "sospirata epoca della Libertà" e alla fine della tirannia dei Borbone, decidono di "accettare lo Stato Democratico e di essere tutti attaccati alla Repubblica", e inviano una deputazione di due cittadini (il sacerdote Cono Capuozzolo e Leonardo Palladino) a Napoli per prendere ordini dal governo repubblicano.

Archivio privato Carrano

A.D.

 

 

Sala Consilina

 

Una lunga scia di sangue

4 maggio 1799

Atto di morte di Michele Gatta (Angelo Andrea Genovese, adottato dalla famiglia del giureconsulto Diego Gatta), di 21 anni, dottore in utroque jure, colpito da due schioppettate nella piazza di Sala, davanti alla spezieria del notaio Giovanni Cioffi, cenacolo dei repubblicani, la sera del 3 maggio 1799. Morirà il giorno dopo nella casa "in mezzo la Terra".

 

14 maggio 1799

Atto di morte di Domenico Cardinale, di 16 anni, ucciso con un colpo di pistola.

 

3 ottobre

Atto di morte del sacerdote D. Mariano di Vita, figlio del notaio Michelangelo, di 45 anni, sacerdote e confessore, partecipante della parrocchia ricettizia di Santo Stefano, che, dopo essere stato saccheggiato nella casa presso la chiesa di S. Pietro a Sala, fu raggiunto nel sonno da più colpi di coltello nella notte precedente il 3 ottobre 1799. Con grande pompa fu accompagnato per i funerali il giorno dopo da tutto il clero, dai Padri Cappuccini e dai fratelli della Congrega di S. Vincenzo de’ Paoli alla chiesa di  S. Stefano, dove, dopo le esequie, fu sepolto presso l’altare maggiore.

Archivio della parrocchia di S. Stefano - Registro degli atti di morte

G.C.

 

 

Clero repubblicano e clero realista

Il registro contiene i verbali delle riunioni dei sacerdoti partecipanti della parrocchia ricettizia di S. Stefano di Sala. Il 1799 è un anno cruciale, testimoniato dal verbale del 17 settembre, dopo che l’annuale riunione ordinaria del 3 agosto, giorno di s.Stefano, suscitò un insanabile contrasto tra due partiti all’interno del clero: una pagina è strappata a metà e una terza facciata è cancellata.

Alle ultime riunioni non risulta la presenza di Diego Gatta, rifugiatosi a Eboli dopo l’uccisione del fratellastro ai primi di maggio (già nel verbale del 3 agosto 1798 non è tra gli uffiziali), ma la sua influenza a difesa del carattere laicale della chiesa ricettizia e la sua competenza giuridica sono inequivocabilmente riscontrabili fin da quando, nel 1781, viene nominato prima razionale e poi avvocato e procuratore ad lites. 

Archivio della parrocchia di S. Stefano - Registro delle Conclusioni (1773-1847)

G.C.

Montesano sulla Marcellana

 

Un episodio di ferocia controrivoluzionaria

17 febbraio 1799

Atto di morte di Nicola Cestari ucciso da un manipolo di controrivoluzionari che fece scempio del cadavere, giungendo a cibarsi delle sue carni. Il documento presenta molte integrazioni e correzioni che ne rendono ardua la lettura, ma recenti studi affermano  che il redattore del documento, l'arciprete Pietro Antonio Abatemarco, ha indicato gli esecutori ed il mandante del delitto nel testo interlineato tra la seconda e la terza riga.

Archivio della chiesa di S. Anna - Registro dei morti della parrocchia di S. Nicola

T.R.

Padula

 

Il sacrificio di due giacobini

Atti di morte, del febbraio 1799,  di Netti e Notaroberto, protagonisti dell'esperienza repubblicana a Padula.

Archivio privato Campolongo - Registro dei morti della chiesa parrocchiale di Sanza

A.T.

 

Regno di Napoli

 

Impunità per i Capi dell'armata Cristiana

Ferdinando IV, con un dispaccio regio comunicato dal Capitano generale Acton, ordina che si ponga in libertà qualsiasi capo massa che si trovasse carcerato e vuole altresì che contro il "Colonnello D. Michele Pezza (alias Fra' Diavolo) e D. Gerardo Curcio Sciarpa, e contro D. Giovan Battista Rodio, ed altro Capo massa, quali si trovassero sotto inquisizione, non si proceda ulteriormente".

Archivio privato Carrano

A.D.

 

Il ritorno alla normalità ed all'ordine

Ferdinando IV, con la prammatica del 12 settembre 1799, emana disposizioni affinché nessuno osi saccheggiare le case dei rei di Stato, eseguire arresti non autorizzati di persone, "insultare qualsiasi privato coll'infame nome di Giacobino", portare armi vietate dalle Regie Prammatiche.

Archivio privato Carrano

A.D.

La fine dell'emergenza

Ferdinando IV abolisce la Giunta per i delitti di Stato e nello stesso tempo concede l'indulto ai rei di Stato, ordinando la scarcerazione di tutti coloro che si trovassero rinchiusi nelle carceri per tale reato.

Archivio privato Carrano. Supplemento alla Gazzetta Universale di Napoli-17 febbraio 1801

A.D.

 

 

 

Provincia di Salerno

 

Truppe irregolari per la vigilanza controrivoluzionaria

1 dicembre 1800

Avendo sua maestà Ferdinando IV ordinato la formazione di masse armate in tutto il Regno, si danno istruzioni ad un capo massa della Provincia di Salerno affinché si rechi in diversi luoghi - Serre, Postiglione, Controne, Castelluccia (Castelcivita), Oliveto, Valva, Buccino, Sicignano) - per organizzare la formazione di bande armate.

Archivio privato Carrano

A.D.

 



[1] L. Cassese, Realisti e Giacobini nel Vallo di Diano. Salerno 1949..

[2] Probabilmente è andato perduto il contenuto di due intere casse.

[3] Il restauro viene per lo più eseguito nel laboratorio di Grottaferrata, non avendo ottenuto i risultati sperati negli interventi fatti eseguire presso il laboratorio della Badia di Cava. E’ inutile sottolineare che è solo l’amore di mio padre che ha reso possibile il recupero dell’archivio e l'avvio del suo riordinamento.

[4] Una parte di questa terra è ancor oggi di nostra prorpietà.

[5] Biblioteca del Seminario di Teggiano, Fondo pergamenaceo, documento dell’11 gennaio 1434.

[6] C. Gatta, Memorie topografiche-storiche della Lucania, Napoli 1732, ristampa anastatica, Bologna 1966, pag. 445.

[7] L’imperatore peraltro era analfabeta.

[8] Uno dei tre fascicoli con i modelli di atti notarili ha per titolo: Incipiunt forme actum atque instrumentorum edite per egregium virum notarium Iulianum Salernitanum.

[9] Il fascicolo delle prammatiche reca questa intestazione: Incipiunt pragmatice leges, et constitutiones, et capitula edita et formata per l’illustrissimum et serenissimum Regem Ferdinandum Regem pacificum Hungarie, Sicilie et Hierusalem triumphatem etc.

[10] Pandetta che devono osservare li Magnifici Governatori, Giudici, e Luogotenenti che pro tempore saranno nella terra di Diano e suoi Casali, in conformità delli Privilegij, e Gratie concesse per gli Illustrissimi Padroni, confirmati dalli Serenissimi Re e dalla Cesarea Maestà Imperatore Carlo V, coll’esecuzione della Regia Camera della Summaria, sotto la data in Napoli dell’11 marzo 1536.

[11] Teggiano 1997.

[12] Segnalato da chi scrive mediante una corposa scheda che apparve nel 1982 sulla Guida alla storia di Salerno e della sua provincia, a cura di Alfonso Leone e di Giovanni Vitolo per le edizioni del compianto Pietro Laveglia.

[13] Su questo archivio cfr. la scheda, a cura di chi scrive, in Guida alla storia di Salerno e della sua provincia cit., vol.III ad vocem.

[14] Cfr. A. Didier, Diano, città antica e nobile (Documenti per la storia di Teggiano), Teggiano 1997, pp. 248-250.

[15] Cfr. A. Didier, Diano, città antica e nobile cit., pp. 258-260.

[16] E' stato edito il primo volume, comprendente i documenti dell'età medievale: cfr. Regesti delle pergamene di Teggiano (1197-1499), a cura di A. Didier, nella collana  "Fonti per la storia del Mezzogiorno medievale", Edizioni Studi Storici Meridionali, Altavilla Silentina, 1988.

[17] Archivio di Stato di Salerno, Regia Udienza Provinciale, Processo per i fatti di Montesano, v.4. In occasione del Bicentenario della Repubblica Napoletana, l'Amministrazione comunale di Montesano sulla Marcellana ha finanziato, a cura dell'archivio di Stato di Salerno, la microfilmatura dell'intero fascicolo giudiziario.

[18] A Napoli viveva il suo congiunto, l'abate Giuseppe Cestari, che già nel 1793 per le sue idee illuministiche, era stato confinato nel convento dei Redentoristi a Materdomini di Caposele; rientrato a Napoli, l'abate fu condannato all'esilio insieme a Mario Pagano, Vincenzio Russo e Giuseppe Abbamonte. Dopo la proclamazione della Repubblica fece ritorno a Napoli e fu nominato prima Commissario e, quindi, Presidente del Comitato dell'Amministrazione Interna. Morì il 13 giugno 1799 combattendo sul ponte della Maddalena contro i sanfedisti del cardinale Ruffo lanciati alla conquista della città.

[19] Il complotto era stato organizzato da Giuseppe Gerbasio che, però, alla vigilia del tragico evento partì per Napoli per non essere coinvolto (il classico "armiamoci e partite"!).

[20] Purtroppo del triste rito dell'antropofagia non sembra essere questo l'ultimo episodio: scrive infatti D. Marinelli nei suoi Giornali che Nicola Fiani, aiutante del ministro della guerra G. Manthoné, dopo essere stato afforcato in piazza Mercato a Napoli "fu ridotto a brandelli dalla carnivora plebe. Forse tutto fu abbrustolito e mangiato. Il fegato so che fu ridotto a cottura e mangiato tutto nell'istesso Mercato dalla vil Plebe Sanfedista. Un lazzaro avendo rifiutato di mangiarne fu ammazzato".

[21] Recentemente rinvenuti presso l'archivio di Stato di Salerno grazie all'impegno dei funzionari

* I curatori dei regesti sono A. Didier (A.D.), G. Colitti (G.C.), T. Rotella (T.R.), A. Tufano (A.T.)